Einstein & Lei
Lei è Gabriella Greison ma anche Mileva Maric, una donna che non sta sui libri di storia per puro caso. Ha abitato il mondo nello stesso periodo in cui Marie Curie veniva invitata dal marito a ritirare il premio Nobel con lui, per rispetto verso la sua persona, riuscendo così ad accreditarla nel mondo accademico e della ricerca scientifica. Mileva invece, nei vent'anni passati insieme ad Albert Einstein, restò confinata nell'archetipo di donna madre e moglie, pur avendo contribuito, in particolare nei primi anni di frequentazione, a sviluppare insieme al marito i prodromi della sua Teoria della Relatività. Lui filosofeggiava, passava le giornate al Cafè Metropole, lei faceva i calcoli e allattava i figli.
La storia l'abbiamo sentita e vista da vicino a teatro, in un monologo tirato, denso, fresco. Non è facile rendere interessante una materia come la fisica, Gabriella Greison ci riesce benissimo, portando sul palco una figura storica complessa, duettando a volte con una voce fuoricampo, a volte con un cappello di scena, senza mai perdere ritmo. Dalla seconda fila non ci siamo persi nulla, nemmeno le smorfie e qualche intoppo di scena, ma come recita la Greison-Maric sul finale, sono le imperfezioni a rendere tutto perfetto. Sempre nel finale, scopriamo che Mileva Maric, dopo aver mollato Einstein, riscopre una serie di possibilità nuove, e scopriamo anche che nel confronto con la sua musa, Marie Curie, nessuna esce vincente: Mileva è amata dai figli ma ha rinunciato alla carriera, pur avendo doti eccellenti, Marie ha infilato due Nobel in due materie distinte ma ha perso il rapporto con i figli, che quasi "non la conoscono".
Triste, vero. A fine spettacolo ci siamo interrogati su cosa sia cambiato a 120 anni di distanza. Forse ancora troppo poco. Alle donne durante i colloqui di lavoro viene chiesto se hanno figli o se vogliono averne a breve. Ai maschi no. E nella vita privata, è cambiato qualcosa? In pratica, non molto: il rapporto tra Albert e Mileva si è deteriorato e quando lui ha cercato di soggiogarla ai suoi voleri, confinandola dentro il recinto di madre e sguattera, lei ha fatto i bagagli e se n'è andata. Quella della "moglie di Einstein" è una storia senza tempo, anzi senza spaziotempo. La ritroviamo ancora qui, vicina a noi, una di quelle imperfezioni culturali che non rendono tutto perfetto, ma che devono spingerci a fare qualcosa per cambiare il corso degli eventi. Con due figlie che viaggiano verso la post-infanzia, sono valutazioni che a volte mi preoccupano. Mi perdo a sognare per loro un futuro dentro ambienti dove la donna può eccellere: lo sport, l'arte, la cultura. Auguro a loro un futuro da campionesse, qualsiasi strada sceglieranno di prendere, anzi auguro loro di poter avere questa scelta, e che qualcun'altro non scelga per loro.
La storia l'abbiamo sentita e vista da vicino a teatro, in un monologo tirato, denso, fresco. Non è facile rendere interessante una materia come la fisica, Gabriella Greison ci riesce benissimo, portando sul palco una figura storica complessa, duettando a volte con una voce fuoricampo, a volte con un cappello di scena, senza mai perdere ritmo. Dalla seconda fila non ci siamo persi nulla, nemmeno le smorfie e qualche intoppo di scena, ma come recita la Greison-Maric sul finale, sono le imperfezioni a rendere tutto perfetto. Sempre nel finale, scopriamo che Mileva Maric, dopo aver mollato Einstein, riscopre una serie di possibilità nuove, e scopriamo anche che nel confronto con la sua musa, Marie Curie, nessuna esce vincente: Mileva è amata dai figli ma ha rinunciato alla carriera, pur avendo doti eccellenti, Marie ha infilato due Nobel in due materie distinte ma ha perso il rapporto con i figli, che quasi "non la conoscono".
Triste, vero. A fine spettacolo ci siamo interrogati su cosa sia cambiato a 120 anni di distanza. Forse ancora troppo poco. Alle donne durante i colloqui di lavoro viene chiesto se hanno figli o se vogliono averne a breve. Ai maschi no. E nella vita privata, è cambiato qualcosa? In pratica, non molto: il rapporto tra Albert e Mileva si è deteriorato e quando lui ha cercato di soggiogarla ai suoi voleri, confinandola dentro il recinto di madre e sguattera, lei ha fatto i bagagli e se n'è andata. Quella della "moglie di Einstein" è una storia senza tempo, anzi senza spaziotempo. La ritroviamo ancora qui, vicina a noi, una di quelle imperfezioni culturali che non rendono tutto perfetto, ma che devono spingerci a fare qualcosa per cambiare il corso degli eventi. Con due figlie che viaggiano verso la post-infanzia, sono valutazioni che a volte mi preoccupano. Mi perdo a sognare per loro un futuro dentro ambienti dove la donna può eccellere: lo sport, l'arte, la cultura. Auguro a loro un futuro da campionesse, qualsiasi strada sceglieranno di prendere, anzi auguro loro di poter avere questa scelta, e che qualcun'altro non scelga per loro.
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