Io canto (sotto la doccia)


Me li immagino nei camerini, nei minuti che precedono la performance.
Con le unghie curate da qualche costumista del set, i capelli domati da chi fa trucco e parrucco, il vestito scelto accuratamente da una donna che non è la loro madre.

Sento la loro impropria e mediatica tensione. Vedo il loro esporsi sotto i riflettori, davanti alle telecamere e a milioni di spettatori. La loro ricerca di gloria, e sullo sfondo, protagonisti dal frastuono silente, i genitori.
Che ambiscono, forse, che scambiano il coltivare un talento con la ribalta televisiva.

Non è più la tv di Carosello, non è più la tv di Corrado e dei dilettanti allo sbaraglio.
E' la tv del Grande Fratello, che non lo fanno più ma vive in format variegati e minorenni.

Dodicianni a cantare su Italia 1. O Canale 5, nemmeno mi ricordo dove ho visto quel bambino cimentarsi con un pezzo simil-lirico sotto lo sguardo compiaciuto di Gerry Scotti e di quella che faceva X Factor, che non so bene come si scrive. Mara qualcosa.

Sì, purtroppo ieri sera ho fatto zapping e per la prima volta in vita mia ho "guardato" un minuto di Io Canto.
In sessanta secondi scarsi ho provato schifo, imbarazzo, direi...pena.
Come quando Le Iene avevano parlato di bambini di successo.

Forse è il mondo in cui viviamo che ci costringe a inseguire questi sogni di plastica?
Forse è ritenuto troppo svilente, troppo vecchio, coltivare questi sogni nella seria penombra di un conservatorio, piuttosto che dare in pasto il proprio sangue al Big Brother?

Mi faccio degli scrupoli io, più spesso di quanto creda chi sta leggendo, quando mi chiedo se è corretto scrivere di bimbe che non possono dirmi "no, papà, non scrivere di quella volta che ho fatto la pipì per terra".

E questi genitori che concedono i propri figli al mondo, spedendoli verso un improbabile e fatuo successo, che scrupoli si fanno? Che pelo hanno sullo stomaco? Forse troppo poco, forse non sanno dire NO a questi bambini che sanno di saper cantare, e chiedono "mamma, mi porti ai provini di Io Canto?".
Una volta si chiedeva un semplice giocattolo, appiccicandosi alla vetrina di un negozio, ma con la faccina compassionevole, ora sostituita dalla spocchia di questi piccoli adulti canterini.

Anche io canto. Sotto la doccia, in macchina.
Le mie figlie cominciano a canticchiare e a fare "i balletti", in una dimensione privata, per un pubblico non pagante di nonni, zii, amici.

Se in futuro mostreranno talento, lo coltiveremo con pazienza, non lo faremo marcire e incendiare prematuramente sotto le luci di un palco televisivo.

Come potremmo altrimenti scagliarci contro la società, la decadente scuola, contro il modello stesso di famiglia attuale, se i diavoli di questi tempi non solo li invitiamo a casa nostra, ma anzi li omaggiamo e serviamo direttamente con la nostra carne, i nostri figli, nelle loro illuminate ma buie tane?



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