Un sentimento...

L'ultima volta che nella mia famiglia un padre portò un figlio allo stadio, io ero il figlio.

Era Gennaio del 1989, ventotto anni fa, era una bella giornata, vincemmo 3 a 0 contro la Fiorentina in Coppa Italia, lo stadio era in costruzione, vicino a noi c'era un signore con una giacca gialla (chissà perché ho questo ricordo preciso) e ad un certo punto i tifosi fischiarono due signori che, per dar prova della loro intelligenza, dal balcone di un palazzo avevano tirato fuori un fazzoletto di colore rosso e blu. Mio padre rise dell'episodio, e anche dei cori che seguirono.

Anche oggi è stata una bella giornata di sole, benché gelida, non abbiamo vinto, ma l'avversario era di nuovo una squadra toscana (anche se per Adelaide sarà per sempre l'Olanda, e non l'Empoli, visto che erano in total orange :-D ). C'è stata l'emozione di un rigore parato dal nostro portiere, proprio sotto i nostri occhi; lei ha sventolato la sua bandierina, un po' in spalletta, un po' in braccio, cinque anni non è l'età perfetta per fare il proprio battesimo in gradinata ma devo dirlo, è stata davvero brava e interessata. Qualche diversivo ha aiutato (una palla con cui giocare nell'intervallo), e siamo andati via un po' prima della fine (c'è sempre una prima volta).

La Sampdoria, è innegabile, fa parte della mia vita e del mio albero genealogico. Mia nonna, in ospedale, dopo un tumore benigno, volle fare un breve brindisi col primario per la retrocessione dei rivali cittadini, per capire quanto di quel sangue da tifoso posso avere dentro anche io. Le partite che ho visto con mio padre, quelle non da bambino ma già ragazzino, le ricordo alla perfezione e conservo tutti i biglietti. Ricordo i gol, le coreografie, i momenti più importanti di quelle partite, e delle successive, quando ho cominciato a frequentare lo stadio da solo, senza più essere accompagnato. 

La voglia di trasmettere tutto questo alle mie figlie non è qualcosa che si possa fermare, o su cui valga la pena ragionare più di tanto. La Sampdoria è un sentimento, è come dire che le mie figlie sono nate a Genova, sono bionde e il loro papà è alto e si chiama Massimiliano. E' una verità, un fatto, una caratteristica. Io spero davvero di riuscire a portarle allo stadio e che possano proseguire questa tradizione, magari accompagnandomi quando sarò vecchietto. 

E' come scrivere un libro, tifare per una squadra, sapere di lasciare qualcosa che niente può portar via: la bisnonna e il nonno che hanno cominciato tutto questo non le hanno mai conosciute, ma oggi erano lì con noi, a tifare, a sventolare una bandierina, a dire "vedi...quelli siamo noi due".



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