Quella volta sul ponte, le mie due righe

Durante la latitanza dal blog qui da noi è successo quel che tutti sapete.
Per noi era un ponte familiare: ci passiamo tutti i giorni - ci passavamo sotto ma ci passiamo tuttora, guardandolo scomparire in attesa del nuovo ponte.

Tra le numerose iniziative nate dopo il 14 agosto 2018, una, manco a dirlo, che riguarda la scrittura, mi aveva spinto a raccontare il mio ponte. Il risultato? Un racconto che è finito nella raccolta curata da Luca Bizzarri. "Quella volta sul ponte", qui di seguito riporto il mio testo.

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Prima e dopo

Alcuni lo chiamavano il ponte di Brooklyn, un misto di ironia e superbia, gli ingredienti di noi genovesi, e ognuno di noi ha almeno una storia o un minuto da dedicare a questa infrastruttura che ora fa parte della cronaca -  che domani si chiamerà Storia - della nostra Città.

Oggi le bimbe mi hanno chiesto di vedere il ponte.
Per la cerchia di amici e contatti di un genovese non serve specificare quale. Nelle nostre vite sarà sempre quel ponte. Viadotto Polcevera, il Morandi, il nostro Brooklyn, sono appellativi inutili.
Il ponte è il ponte.
Rispettando la loro richiesta, non senza qualche dubbio, stamattina ho fatto una deviazione rispetto alle faccende che avevamo da fare - veterinario e spesa - e siamo passati a Campi, nel parcheggio dell'Ikea.
Strade chiuse, transennate, vuote, strade in cui passiamo tutti i giorni nel tragitto andata e ritorno casa, scuola, lavoro.
Traffico anomalo.
Polizia.
Altissime gru gialle.
Subito mi sono sentito come quelli che a Cogne, tanti anni fa, chiedevano quale fosse la casa della Franzoni, poi ho capito.
Ho capito che alla loro età le informazioni non vengono digerite ed elaborate come dagli adulti.
Volevano vedere per rendersi conto, vedere per vedere. I media, le tv, i giornali, le foto, per loro fanno parte di un mondo che è fuori dal raggio visivo, lontano dai sentimenti quotidiani.
Ginevra appena lo ha visto ha detto: "ma allora è vero".
Già.
In fondo l'ho pensato anche io.
Anche per me era la prima volta, in effetti.
Nei giorni precedenti ero passato di sfuggita ma senza fermarmi.
Ma allora è vero.
E’ vero che non ci sei più, o meglio, che ci sei ancora ma sei ferito, condannato a morte. Tu, che nella mia infanzia, tornando dai luoghi di villeggiatura, rappresentavi con quelle strane impalcature grigie un approdo sicuro e immancabile. La porta di casa, perché mio nonno preferiva evitare i Giovi e fare il Turchino. Meno curve strette e meno rischi, per suo nipote, di soffrire il mal d'auto. Ed  ecco che il passaggio sul ponte di Brooklyn era obbligatorio: la galleria di Genova Aeroporto e poi sbucava lui, a sinistra la valle e i monti, a destra il mare, sotto le vertigini e uno dei tanti torrenti di pietre, sassi ed erbacce, e di acqua per pochi giorni all’anno. Un panorama che non sarà più lo stesso, nemmeno quando sorgerà un altro ponte, sarà diverso, sarà fatto di acciaio, dicono, ma non solo. Sarà fatto di ricordi e magone, perché ci sarà a Genova una vita prima del crollo e una vita dopo il crollo. Più di ogni alluvione, più della Haven, più della Torre Piloti. Le nostre storie, i nostri racconti, le nostre esperienze, avranno un prima e un dopo, e lo zero sarà il Quattordici Agosto Duemiladiciotto. Dopo, anzi già adesso, in queste ore, percorreremo strade che avevamo abbandonato. Riscopriremo nuovi modi di vivere e spostarci.
Infine, verrà il giorno in cui il nuovo Morandi, il nuovo Viadotto Polcevera, sarà inaugurato, e ci diranno che sarà migliore di quello che c’era prima, che sarà più sicuro, che sarà incrollabile. Ma noi sapremo che mentiranno, e sapremo che non sarà mai più il nostro ponte di Brooklyn. E passando sopra al suo erede, non guarderemo a sinistra, non guarderemo a destra, non guarderemo sotto. Guarderemo avanti, agganciati col pensiero alla terraferma, alla vita, a quel minuto in più che può salvarci o distruggerci.
E ringrazieremo, perché potremo dire che per noi c’è stata, da una parte all’altra del nostro Brooklyn, una vita prima e una vita dopo.

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