Un'Aquila nel cuore...



Cominciamo dalle mie bimbe che abbracciano la bandiera de L’Aquila, un pomeriggio di sole parzialmente scremato – dalle nuvole – in una Piazza Duomo addobbata a festa per commemorare tre sbandieratori portati via dal sisma, dentro ad una città dolente, che vuole tornare ad essere quella che era, perla dell’Appennino poco avvezza alla ribalta, come tutto questo Abruzzo che ci sta aprendo il suo cuore e la sua meraviglia, a poco a poco.

Cominciamo da questa bandiera per dire che fare i turisti a L’Aquila, appena arrivati, non è facile. Non tanto per la viabilità, direi del tutto ripristinata, quanto per quel senso di timore che ci ha pervaso, timore di apparire invasivi, timore di essere visti come “turisti del sisma”. Strano a dirsi, dopo quattro anni, ma sbirciando il centro storico si ha la sensazione che non sia passato così tanto tempo. Gli edifici sono messi in sicurezza – provvisoriamente – ma quasi nulla è stato ricostruito. Le case giacciono senza padroni, i negozi dormono nella polvere senza commessi e senza compratori. La farmacia è un container e c’è un solo punto vendita dedicato ai turisti, dove a qualsiasi costo avremmo comprato qualcosa, e così abbiamo fatto, scambiando qualche battuta con il proprietario. Ha riaperto da due anni e “si lavoricchia”. Buon per lui, siamo felici e lo salutiamo con un sorriso ricambiato. Colazioniamo e mangiamo in due bar all’aperto, guardando attorno a noi, lo skyline di gru e le persone che si muovono ormai nella quotidianità. Un concetto che forse non gli appartiene più. Vedi una famiglia con bambini e ti chiedi se la loro casa è dentro o fuori l’inaccessibile “zona rossa”. Ti chiedi dov’erano quel 6 Aprile e se hanno perso qualcuno. E’ impossibile non collegare tutto o quasi al terremoto, perché quasi ad ogni angolo c’è qualcosa che te lo ricorda. Un cartello “negozio trasferito”, una crepa, un cantiere, una jeep di militari, l’insegna di un’impresa edile, il manifesto di un comitato “per la ricostruzione”. Le chiese senza un tetto, e la stessa festa a cui abbiamo partecipato, “Bandiere per un amico”, bandiere che sventolano ancora, bandiere strette da due bimbe inconsapevoli, in un abbraccio ingenuo. Tutto, a L’Aquila, ha ancora i segni di quell’alba.

In un’altra alba, quella di oggi, ci siamo svegliati, in un’area camper abbastanza comoda e gratuita. Un’alba fredda ma soleggiata. Abbiamo lasciato L’Aquila per salire sul Gran Sasso, a Campo Imperatore, con una funivia che ha emozionato parecchio Ginevra e Adelaide. Cricchetto ha riposato a valle, e noi a duemila metri a prender vento, vedere elicotteri, riscaldarci con cioccolata calda, arrosticini e vino. Nel pomeriggio abbiamo bucato il Gran Sasso ritrovandoci quasi sul mare, per poi piegare e risalire nell’entroterra di Pescara. In questo momento ci avvolge la notte di una fattoria, sento il belato di pecore e capre, e non vedo l’ora che sia domani – e che trionfi nel cielo un grande sole – per divertirmi in piscina con la mia famiglia. Non siamo ancora arrivati alla nostra “meta”, il motivo dl viaggio, il Parco Nazionale d’Abruzzo, ma abbiamo già una valigia di ricordi, alcuni di questi li metto in coda ma stanno nel primo giorno di viaggio, i dintorni di Lucca e poi Orvieto, sorprendente anche nella pioggia. 


Già, la pioggia. E’ la prima vacanza che abbiamo affrontato senza una scrupolosa analisi del meteo. Prendiamo quello che viene dal cielo, e valutiamo l’itinerario di volta in volta. Con Ginevra che viaggia verso i tre anni e Adelaide al guado dei 18 mesi, possiamo permettercelo. Domani sarà il quinto giorno di vacanza, la prima così lunga e itinerante al tempo stesso. Non ci siamo ancora strappati i capelli e le bambine sono il ritratto della felicità. Loro, inconsapevoli di cosa sia accaduto in questa regione quattro anni fa, e dei segni ancora tangibili di quel disastro, possono e devono permetterselo…

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